| ||
La domanda posta nel titolo è quanto mai attuale: da sempre un po' tutti ce lo chiediamo ma esiste la percezione che, in passato, sia stato più facile di oggi cedere al compromesso del lavoro-per-vivere o vivo-per-lavorare.
Forse, un po' per “indole italiana”, siamo sempre stati morbidi nel rapporto con il lavoro, una volta ottenuto quello fisso, andava bene perché era ritenuto una sicurezza dal momento dell’assunzione alla pensione. Non importava più di tanto se ci sentissimo accettati o se avessimo la possibilità di dare voce alle nostre potenzialità.
La sferzata sociale ed economica degli ultimi due anni ci ha donato, anche abbastanza perentoriamente per non dire violentemente, un’altra visione delle cose.
E’ come se ci fossimo risvegliati, capendo che il posto fisso sicuramente è una garanzia … ma a quale costo?
Ci siamo interrogati un po' di più sul “come viviamo il cosa”: ovvero se il posto fisso ci fa vivere bene il nostro ambiente lavorativo, se le nostre competenze sono messe sotto la giusta luce; insomma, se stiamo bene.
Il tema del benessere oggi è imprescindibile.
Da qui le riflessioni della giornalista Francesca Devescovi sul nostro modo di lavorare, sulla leadership, sulla tipologia di lavoratore in cui possiamo riconoscerci.
E, dal riconoscimento in uno stile lavorativo, come ci poniamo nel mondo professionale.
I lavoratori sono prima di tutto persone: questa concezione di “human at work” che dà il titolo alla nostra rubrica, ispira quotidianamente la vita all’interno del mondo BCC Agrobresciano.
Teniamo alla qualità del rapporto con i dipendenti, fra i dipendenti e con i clienti e i soci: tutti, prima di avere un ruolo, sono persone e nel rispetto per questo “status” lavoriamo e ci interfacciamo con loro.
Leader del futuro o potenziale inespresso: tu che lavoratore sei?