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Il titolo provocatorio di oggi della nostra rubrica #riflessionicondivise, prende spunto dall’articolo di Luisa Rosti che evidenzia un tallone d’Achille storico per il nostro paese, l’occupazione dei giovani.
Il problema non è solo un corretto matching fra domanda e offerta, ma il rischio dello svilimento del valore dell’istruzione.
Le considerazioni e i grafici riportati dalla giornalista mostrano come, pur da laureati, spesso non si trova il posto di lavoro ambìto e, anche quando lo si occupa, la retribuzione che ne deriva non è pari a quella di altri paesi europei.
Quindi verrebbe da chiedersi:
“Perché studiare tanto e cercare il best in termini di formazione se poi questa cosa non paga?”
E “non paga” sotto ogni aspetto, verrebbe da pensare, sia monetario sia di soddisfazione personale perché, lo sappiamo, non essere apprezzati per quel che si sa fare o si vale è frustrante.
Il tema della laurea, del massimo del livello scolastico, dello studio è sempre stato di grandissimo valore: fuori dalla guerra, dal boom economico nel quale è stata ricostruita l’Italia, man mano i lavori fisici e manuali hanno perso “charme” e prestigio e si è rincorsa la carriera, la posizione, il lavoro manageriale.
Alla luce dei fatti e dei dati proposti da Luisa Rosti questo processo sta perdendo valore e interesse perché si è dimostrato che, pur studiando, è sempre più difficile collocarsi nella giusta posizione lavorativa e/o la medesima risulta sottopagata.
E qui si apre una voragine di considerazioni:
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il mercato del lavoro in Italia è iniquo,
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le posizioni non sono adeguatamente remunerate,
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i ragazzi cercano fortuna – o apprezzamento – altrove, all’estero. La fuga dei cervelli diventa esodo, e non solo per il settore universitario o di ricerca, ma in tutti.
Tralasciando infinite polemiche circa la politica del lavoro, questa situazione ci mette comunque di fronte a un grosso quesito in termini di qualità: qualità della nostra classe dirigente presente e futura e qualità dei nostri investimenti sui giovani.
Perché lo studio e la formazione sono investimenti sulla produzione, sono il business di domani.
In questa condizione implodente esiste poi un altro rischio: alcuni potrebbero pensare che, poiché studiare non porta dove avrebbero aspirato, perché farlo? E quindi innescare un pericoloso disincentivo allo studio.
Senza nulla togliere a lavori meno scolarizzati, questo rischio porterebbe comunque a un pericoloso indebolimento culturale delle nuove generazioni.
L’invito è alla comprensione del fenomeno e alla corsa ai ripari: in BCC Agrobresciano riteniamo che formazione e informazione costanti siano il volano della crescita.
Sosteniamo l’aggiornamento continuo dei nostri collaboratori affinché possano avere tutti gli strumenti e le competenze per servire al meglio i clienti. Allo stesso modo sosteniamo come Banca tutto ciò che, a 360°, rappresenta la cultura e lo studio nel nostro territorio.
Il sapere per noi è l’anima del progresso.
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Leggi l'articolo de Il Sole24Ore rubrica Alley Oop
Si può mai essere "troppo" istruiti?
scritto da Luisa Rosati